Spumante italiano

Il Monferrato nell’epopea dello Spumante Italiano PARTE III DI IV

Parte III di IV – da Edme Jules Maumene’ e Federico Martinotti all’Asti Spumante docg

A cavallo tra l‘800 e il ’900, uno dei principali problemi dello spumante piemontese era quello di garantire adeguati volumi di produzione. Mentre nella vicina Francia lo Champagne continua la sua ascesa, passando dalle 300.000 bottiglie prodotte nel 1780 ai 20 milioni nel 1900, la storia dello spumante italiano procede ancora a rilento, concentrandosi sull’ottimizzazione dei costi e dei processi produttivi. Un nuovo impulso, ancora una volta con epicentro in Monferrato e per mano di un monferrino, ha origine dalle intuizioni Federico Martinotti.  

Se in Francia la direzione intrapresa è ormai quella di trasformare lo Champagne in vino secco, in primis per soddisfare i nuovi gusti del forte mercato inglese, in Italia lo spumante continua a essere prevalentemente dolce. In ogni caso, dopo l’uscita in commercio dello “Spumante Italiano” creato da Carlo Gancia nel 1865, le bollicine iniziano a generare sempre più interesse. A livello di ciclo produttivo, però, con i costi di produzione, specie quelli di manodopera, ancora troppo elevati e con incidenti di  percorso, con conseguenti sprechi, all’ordine del giorno, i problemi sono ancora ben lontani da essere risolti.

L’evoluzione tecnica dello spumante italiano, quindi, sembra dover passare dalle tecniche di vinificazione con il tentativo di trovare una soluzione alternativa alla rifermentazione in bottiglia che allunga i tempi di produzione e aumenta i costi di produzione. Entra quindi in gioco la storia dell’autoclave e, quasi scontato sottolinearlo, anche in questo caso ha inizio in Francia.

Oltralpe, infatti, si hanno testimonianze che già nel 1851 iniziarono i primi rudimentali tentativi per rifermentare i vini nell’enoforo,  in una grande botte di legno rinforzata. La vera svolta, con i primi studi scientifici, arriva però nel 1858, quando un professore di chimica a Reims, Edme Jules Maumené, sviluppò con Louis Jaunay, manager di Jules Mumm & Cie, un nuovo metodo volto a migliorare la produzione di Champagne:

“… infine, ho trovato un collaboratore, un amico dei più intelligenti, dei più devoti e utili, in M. Jaunay, uno dei gestori della casa J. Mumm e Champagne”

Per la prima volta, ipotizzarono l’uso di grandi recipienti cilindrici in rame argentato, denominandoli afrofori:

“È possibile conservare il vino, anche acido, a forte pressione, in un recipiente di rame argentato, per più di sette mesi: non abbiamo esitato a concludere: la conservazione può essere indefinita; i “tirages” possono essere realizzate in grandi vasi di metallo. Chiamiamo questi vasi Aphrophores”

Spumante

In sostanza, si trattava di un grosso contenitore metallico, atto a replicare quanto accadesse nella bottiglia durante il metodo classico:  

“Questo vaso può contenere 32 ettolitri, ovvero circa 3.500 bottiglie, lasciando uno spazio di 62 litri”

Anche se ancora in forma primordiale, quindi, a tutti gli effetti l’afroforo può essere considerato come l’antesignano delle moderne autoclavi. Le conclusioni di Edme Jules Maumené sembrano non lasciare dubbi sulla sua intuizione:

“Risolviamo tutte le difficoltà del sistema attuale; niente più “tirage” di bottiglie o mezze bottiglie, niente più rotture, dosaggio regolare operato in grandi masse, “tirage” di bottiglie o mezze bottiglie a seconda delle esigenze di spedizione: in una parola, potere assoluto di condurre e utilizzare il vino, a discrezione del commerciante e senza alcuna perdita…”

Per i suoi esperimenti, inoltre, Jules Maumenè utilizzò, per la prima volta, un afrometro (dal greco aphros = schiuma e phoreys = portatore) per il controllo della pressione durante il processo.

A dire il vero, in Francia questi primi tentativi di rivoluzionare il sistema di vinificazione dei vini spumanti furono molto criticati. Il professore Robert di Reims, per esempio, definì il sistema “alquanto malizioso”, evidentemente preoccupato dalla prospettiva di uno “Champagne a basso costo” e, come precisa in seguito, “Destinato a far cadere nell’oblio le grandi iniziative degli enologi dello Champagne”.  I costi di produzione degli impianti molto alti, unitamente alle difficoltà di costruzione dei recipienti, non lasciarono spazio a nessuna applicazione pratica.

Ormai, però, la strada era stata aperta e interessanti esperimenti furono portati avanti anche in Italia dal professore Francesco Koenig, che elaborò un nuovo afroforo, adatto per i vini aromatici, quindi anche per il Moscato. Sempre in Italia, però, la vera svolta iniziò con le intuizioni di Federico Martinotti.

Federico Martinotti

Nato a Villanova Monferrato il 3 giugno del 1860, nel 1887 si laureò in chimica e farmacia all’Università di Torino. Dapprima Assistente, fu poi Vicedirettore della Stazione Agraria di Torino e nel 1895 vinse il concorso da Direttore della Reale Stazione di Enologia di Asti.

In un suo lavoro intitolato “La fermentazione dei vini spumanti” e pubblicato sul periodico “ Il Giornale Viticolo Italiano” di Casale Monferrato, Martinotti fa riferimento proprio al suo “Apparecchio a lavorazione continua”. Questo sistema, “Installation pour la fabrication continue des vins mousseux”, fu brevettato, nel 1895, in Italia, Francia e Svizzera e nella prima elaborazione era a costituito da tre recipienti di ferro, con protezione interna in legno.

Dante Aliberti Canelli

Per la refrigerazione ipotizzava una serpentina interna e le autoclavi erano collaudate per una pressione di esercizio di 8 atm. In seguito propose una camicia esterna per la refrigerazione, eliminò il legno nel rivestimento interno, non facile da igienizzare e inserì un agitatore ad elica nell’ultimo recipiente per mantenere i lieviti in sospensione. L’ultima versione di Martrinotti consisteva in una prima autoclave in cui avveniva la rifermentazione del vino base spumante, una seconda dove lo spumante veniva stabilizzato mediante chiarifica e filtrazione, e una terza dove si aggiungeva il liquore di spedizione. Ma restavano vari problemi pratici: in primis la smaltatura per grandi recipienti, che andava fatta in Germania, con costi di trasporto notevoli. Per ovviare a questo, Martinotti propose addirittura un improbabile rivestimento interno delle autoclavi mediante utilizzo del cemento. Anche le proposte fatte per adattare l’intero sistema alla produzione del “Moscato Champagne” suscitano molti dubbi; come si evince da uno dei suoi scritti: “…prima di collocarlo nell’apparecchio attendere ancora 3-4 mesi e sottoporlo (il moscato ndr) a nuove areazioni e filtrazioni” …”in seguito anche a pastorizzazione”.

Nonostante i vari cambiamenti proposti nel corso di alcuni decenni, il sistema Martinotti non trovò la giusta strada per essere “ingegnerizzato” e adattato alla produzione industriale. Fu nel 1907 che il francese Eugène Charmat mise a punto e brevettò un sistema concettualmente simile a quello di Martinotti e che, ancora oggi, è universalmente utilizzato per produrre spumanti e che porta anche il suo nome. A dire il vero, però, nella sua versione originale, non differiva molto dal sistema Martinotti, brevettato anni prima. Si trattava sempre di tre autoclavi in ghisa smaltata a fuoco, collaudate per resistere a 12 atmosfere. La soluzione refrigerante era formata da acqua e alcool metilico denaturato, sostituita pochi anni dopo dal cloruro di calcio e in seguito dal glicole etilenico, consentendo di arrivare anche a venti gradi sotto zero e Intorno alle autoclavi era posizionata una parete, con delle liste di sughero per isolare il tutto.

Pratico, accettabile nell’investimento iniziale e con indubbi vantaggi economici per la cantina rispetto al metodo classico della rifermentazione in bottiglia, in Italia il primo impianto originale Charmat giunse alla ditta Cora di Costigliole d’Asti nel 1922. Pochi anni dopo fu acquistato anche dalla Martini & Rossi di Pessione e dalla Mirafiore-Fontanafredda a Serralunga d’Alba.

A Canelli, alle Cantine Luigi Bosca, nell’estate del 1946, arriva finalmente la prima autoclave di ferro smaltato made in Italy. E’ costruita dalla ditta Gianazza di Legnano. Un’ altra importante innovazione nel sistema di lavorazione degli spumanti venne ideata, negli stabilimenti Cinzano di Santa Vittoria d’Alba, negli anni trenta. il metodo era semplice ed ingegnoso: la fermentazione del vino avveniva in bottiglia, lo stesso valeva per la conservazione. Un travaso isobarico in autoclave sostituiva le operazioni finali del remuage e dégorgement. Seguivano filtrazione brillantante e imbottigliamento, come nel sistema Charmat. Infatti, alcuni enologi lo chiamavano “Sistema misto”. Nonostante la riduzione dei costi e mantenimento, almeno sul piano teorico, della qualità, in quanto la presa di spuma avveniva, comunque, in bottiglia, alla fine venne abbandonato: la protezione dello spumante in autoclave e durante le operazioni di filtrazione brillantante e imbottigliamento isobarico non erano semplici.

Anche Siro Aliberti a Canelli costruisce autoclavi e, in seguito, il primo originale pastorizzatore a immersione. Curioso osservare come queste autoclavi differissero di poco nella forma dal progetto di Edme Jules Maumené del 1858.

Brevetto

L’Asti spumante

Figli delle intuizioni di Federico Martinotti, gli anni Trenta del ‘900 segnano un’altra tappa fondamentale di tutta la storia dello spumante italiano. Il 7 dicembre 1932, infatti, viene costituito il “Consorzio per la Difesa dei Vini Tipici Moscato d’ASTI Spumante e Asti Spumante“, per poi essere riconosciuto ufficialmente nel 1934. Con sede ad Asti, adotta fin da subito come come marchio consortile il patrono di Asti, San Secondo a cavallo.

Spumante Italiano

Con un totale di quasi 10.000 ettari vitati a Moscato Bianco, 3.700 aziende agricole coinvolte in 52 comuni tra le Province di Alessandria, Asti e Cuneo, i numero di quello che è poi diventato il vino piemontese, nonché monferrino, più prodotto ed esportato, sono a dir poco impressionanti. Nel 2020, infatti, sono state prodotte 53,4 milioni di bottiglie di Asti (nel 2019 erano 51,2), oltre ai 38,2 milioni di Moscato d’Asti (nel 2019 erano 33,2). Nel mondo, l’Asti Spumante segna un 55,3% di esportazioni in Europa, cui seguono Russia (21,9%), Nord e Sud America (16,5%) ed Asia (8,8%), mentre il Moscato d’Asti conta su un 72,4% di esportazioni in Nord e Sud America, mentre i valori di Europa e Asia sono rispettivamente 18,3% e 8,6%.

Riconosciuta Docg nel 1993, nella versione “Secco” dal 2017, oggi la denominazione Asti contempla quattro diversi prodotti:

  • Asti o Asti Spumante Docg
  • Asti o Asti Spumante metodo classico Docg
  • Moscato d’Asti Docg
  • Moscato d’Asti vendemmia tardiva Docg

La zona di produzione delle uve è delimitata come segue:

Provincia di Alessandria: l’intero territorio dei comuni di Acqui Terme, Alice Bel Colle, Bistagno, Cassine, Grognardo, Ricaldone, Strevi, Terzo e Visone.

Provincia di Asti: l’intero territorio dei comuni di: Bubbio, Calamandrana, Calosso, Canelli, Cassinasco, Castagnole Lanze, Castel Boglione, Castelletto Molina, Castelnuovo Belbo, Castel Rocchero, Cessole, Coazzolo, Costigliole d’Asti, Fontanile, Incisa Scapaccino, Loazzolo, Maranzana, Mombaruzzo, Monastero Bormida, Montabone, Nizza Monferrato, Quaranti, San Marzano Oliveto, Moasca, Sessame, Vesime, Rocchetta Palafea e San Giorgio Scarampi.

Provincia di Cuneo: l’intero territorio dei comuni di Castiglione Tinella, Cossano Belbo, Mango, Neive, Neviglie, Rocchetta Belbo, Serralunga d’Alba, S. Stefano Belbo, S. Vittoria d’Alba, Treiso, Trezzo Tinella, Castino, Perletto e le frazioni di Como e San Rocco Senodelvio del comune di Alba.

Ad oggi, inoltre sono previste tre sottozone specifiche di produzione: “Canelli”, “Santa Vittoria d’Alba” e “Strevi”.

PRINCIPALI TESTI DI RIFERIMENTO DI FEDERICO MARTINOTTI

. I vitigni coltivati nel Casalese : ricerche analitiche e sperimentali – Casale: tip. e lit. Carlo Cassone, 1891
. Ricerche sperimentali sulla conservazione e concentrazione del mosto- Asti: tipografia operaia A. Bianchi, 1892
. Conservazione del vino ed i recenti sistemi di filtrazione – Torino: tip. G. Cornara e c., 1892
. I vini spumanti – Casale: Tipografia e Litografia C. Cassone, 1893
. Nuovi studi sulla conservazione del vino : i fluoruri e i fermenti del vino – Casale: tip. lit. Cassone, 1893
. Sull’applicazione dei fluoruri nella vinificazione e nella conservazione del mosto concentrato – Casale: tip. lit. Cassone, 1893
. Nuove osservazioni sulla preparazione del moscato spumante – Casale: tip. lit. Cassone, 1893
. I secondi vini di vinaccie : Osservazioni – Casale: tip. lit. Carlo Cassone, 1897
. Esperienze sulla coltivazione di viti americane nel Monferrato – Torino: Tip. Camilla e Bertolero, 1899
. Apparecchio a distillazione continua del vino – Casale: tip. lit. Carlo Cassone, 1900
. Analisi dei terreni calcarei del Monferrato : nuovo metodo per dosare il calcare facilmente solubile – – Torino: Tip. Camilla e Bertolero, 1900
. Sulla chiarificazione del moscato di Canelli e di alcuni altri vini piemontesi – Casale Monferrato: Tip. Cassone, 1903
. Sull’invecchiamento del Cognac – Asti : Tip. G. Brignolo, 1904
. Relazione sul tema: Proposte di modificazione al regolamento-legge sui vini 11 luglio 1904 – Asti: tip. G. Brignolo, 1908
. L’ invecchiamento rapido del vino Barbera – Casale: stab. tipografico ditta C. Cassona, 1920
. La ricostituzione del vigneto piemontese e la produzione dei vini spumanti – Casale: stab. tipografico ditta C. Cassone, 1920
. Preparazione di vini spumanti con varietà di uve piemontesi – Modena: Prem. Società Tipografica Modenese, 1924

SEGUE PARTE IV DI IV – DALL’ASTI SPUMANTE ALL’ALTA LANGA

Un viaggio tutto da vivere con i consigli e le dritte dei “locals” che vivono in questo magnifico territorio.

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